Crivelli e le Marche
Le Marche per Crivelli
Le Marche devono molto a Carlo Crivelli perchè il Venetus Crivelli regalò a questa regione un tempo fecondo di opere, disseminate su tutto il territorio, da Ascoli ad Ancona, Camerino, Fermo, Macerata, Fabriano, fino a borghi e castelli meno consistenti come Massa Fermana, Montefiore, Corridonia, Montefiore. Il Quattrocento nella Marca è davvero l’età di Crivelli ed il territorio una “regione crivellesca” tanto più che l’influenza del grande Veneto si diffonde geograficamente e nel tempo: basta pensare a Lorenzo d’Alessandro di Sanseverino a Stefano Folchetti di San Ginesio, a Cola dell’Amatrice, Bernardino di Mariotto, Vincenzo Pagani. Una stagione artistica dominata o a volte sottilmente suggestionata dalla maniera crivellesca, un’elaborazione di civiltà figurativa originale e rivoluzionaria nello sfaccettato panorama dei Rinascimenti e pseudorinascimenti, quella corrente adriatica, importante interpretazione critica di Pietro Zampetti, di cui Crivelli è uno dei più raffinati interpreti. Corrente adriatica perché il luogo di questa civiltà artistica è l’Adriatico, golfo di Venezia e le sponde di questa via d’acqua, le Marche e la Dalmazia, intimamente legate alla cultura veneziana. I pittori adriatici, Carlo Crivelli, il fratello Vittore, Pietro Alamanno, e soprattutto l’inquietante Nicola d’Ancona e il dalmata Chjulinovic, hanno un’influenza di lunga durata nelle Marche, ma la corrente adriatica è una meteora nella storia dell’arte. Gli interpreti della cultura adriatica non sono rinascimentali a pieno titolo, non confluiscono in una scuola, non si riconoscono nella cultura veneta nè toscana, un’aura di mistero aleggia sui rappresentanti della corrente adriatica che è senza eredi come scrive Zampetti. Materia affascinante, dunque, e I’occasione del V centenario crivellesco stimola la riflessione sulla tematica della “cultura adriatica” e riaccende nelle città di Crivelli l’insopprimibile nostalgia per le tante opere disperse, smembrate, preda di guerra di Napoleone o preziosi oggetti sul mercato antiquario. Le città che ancora conservano opere di Carlo Crivelli sentono il privilegio di una presenza importante, “segno” di una qualità diffusa del Bene artistico, vero blasone di una nobiltà sensibile al bello che affidava alla committenza di opere di soggeto sacro, la speranza di salvarsi l’anima.
Le Marche per Crivelli, è questo il senso delle Celebrazioni per il V centenario della morte di Carlo Crivelli, un’intero territorio mobilitato, la Regione, le Province di Ascoli e Macerata, le città crivellesche, Ascoli Piceno, Fermo, Camerino, Ancona, Macerata, Corridonia, Montefiore, Porto S Giorgio e Massa Fermana dove Crivelli licenziò e firmò la sua prima opera marchigiana, il Polittico di Massa Fermana del 1468.
Le città di Crivelli, itinerario attraverso i luoghi e le opere conservate nelle Marche
Il Progetto Crivelli è un invito al viaggio da una valle all’altra delle Marche per ritrovare lo spazio fisico e la corporeità delle opere fortunosamente scampate alla diaspora che si abbattè, tra Sette e Ottocento, sul complesso straordinario di opere crivellesche eseguite per il territorio marchigiano. L’itinerario Le città di Crivelli si dipana tra storia e memoria, avventura dello sguardo preso dalla fascinazione del colore crivellesco, incanto del paesaggio marchigiano ancora cos“ appartato ed integro. La scoperta delle “Marche nascoste” si allarga spazialmente ancora di piu con gli itinerari dedicati ai Crivelleschi, perchè Carlo fu un maestro di bottega e un caposcuola dall’innegabile carisma. Ai luoghi dei crivelleschi Vittore Crivelli, Pietro Alamanno, Stefano Folchetti si giunge attraverso campagne giardino, borghi in cotto e in pietra, orgogliose mura cittadine, limen tra geografie dell’infinito e spazio concluso. Le opere dei Crivelleschi formano sul territorio delle province di Ascoli e Macerata, un museo diffuso, un territorio museo, mentre alcune sono ospitate in Pinacoteche che racchiudono preziosi tesori, spesso poco esplorati, le Pinacoteche di Ascoli, Fermo, Montefortino, San Severino, il Museo Diocesano di Ascoli con dei gioielli come la statua d’argento, il braccio reliquiario di Sant’Emidio opere di un grande orafo come Pietro Vannini, contemporaneo di Crivelli.
Un caso emblematico di dispersione del corpus crivellesco è la pala dell’Annunciazione eseguita nel 1486 per la chiesa dell’Annunziata di Ascoli Piceno a celebrare un annunzio fervidamente atteso in città, la Libertas Ecclesiastica, I’autonomia amministrativa tanto agognata dagli Ascolani. Tutta l’iconografia del dipinto è legata a questo evento di storia urbana e risulta purtroppo incomprensibile e diminuita nei suoi significati e significanti al di fuori di questo contesto: I’attesa dei colombi viaggiatori che dovevano portare l’annuncio di libertà, la presenza del proteHore della città, Sant’Emidio, in funzione di alto intercessore che reca in mano l’alzato della città di Ascoli, esempio di autoriconoscimento cittadino e di uno stretto legame tra spirito civico e arte.
L’Ascoli del ‘400 è chiusa nella sua cinta muraria con alcuni elementi riconoscibili come Porta Solestà e le torri dell’impianto medievale che ancora oggi la caratterizzano. Tale ricchezza di rimandi visivi e culturali tra l’opera e l’evento storico, I’architettura dipinta e reale, i segni dell’arte e del paesaggio urbano, rischia di risultare illegibile nella sia pur prestigiosa sede attuale, la National Gallery di Londra. Le Celebrazioni crivellesche sono state l’occasione per compiere una straordinaria operazione culturale: I’Annunciazione torna dalla National Gallery ad Ascoli per inaugurare degnamente l’inizio delle manifestazioni dedicate a Carlo Crivelli il 30 marzo prossimo nella sede della Pinacoteca Civica di Ascoli che conserva due Trittici del grande artista veneziano e altre importanti opere legate all’influenza di lunga durata del Crivelli nelle Marche, da Pietro Alamanno a Cola dell’Amatrice.
L’ ANNUNCIAZIONE
Londra, National Gallery
Tela (già su tavola), cm 207 X146.
Firmata OPVS CAROLI CRIVELLI VENETI, 1486La firma e la data si trovano sulla base delle paraste che elelimitano la porta d’accesso alla camera dove, inginocchiata e con Ie mani incrociate, appare la Vergine. Inoltre sull’alzato del gradino, in primo piano, compare un’altra scritta a caratteri lapidari “Libertas Ecclesiastica”. Precedono, scandiscono e chiudono Ie parole tre stemmi quello di Ascoli Piceno, del pontefice Innocenzo VIII, e quello del vescovo della città Prospero Cafferelli
La tavola fu eseguita per la chiesa dei Minori Osservanti, dedicata alla Vergine Annunciata, per ricordare un evento storico Iegato alla città. Probabilmente per iniziativa di Grazioso Benincasa, cancelliere, Ascoli inviò a Roma, essendo pontefice Sisto IV, due cittadini, allo scopo di ottenere appunto la “Libertas Ecclesiastica”, cioè l’autonomia amministrativa, già concessa nel 1390, a seguito dell’azione svolta dal cardinale Albornoz e degli accordi di Fano del 1357, ma poi revocata.
In un breve del 16 febbraio 1482 il pontefice, forse sorpreso della richiesta, prendeva tempo e nominava il vescovo di Camerino Silvestro del Lavro, proprio commissario, perché gli riferisse in merito. Pochi giorni dopo, il 22 marzo, con un altro breve il papa annulciava che il predetto vescovo era in procinto di giungere ad Ascoli. I cittadini, precedendo i tempi e interpretando, forse ad arte, il testo del breve quasi come un’anticipazione della concessa “Libertas”, si abbandonarono alla esultanza, quando lo stesso fu consegnato ai magistrati cittadini. La data era appunto quella dell’Amlunciazione il 25 marzo
Quando il commissario papale giunse ad Ascoli trovò la città esultante e i gabellieri pontifici allontanati. Sisto IV preso dalla guerra con il re Ferdinando, che aveva rapporti privilegiati con la città, fu costretto ad accettare il fatto compiuto, pretendendo tuttavia, con una lettera del nipote Girolamo Riario, che la città versasse alla Camera apostolica tremila ducati annui.
L’evento venne ricordato da due dipinti, il primo affidato nel 1483 a Pietro Alemanno (oggi nella Civica Pinacoteca di Ascoli); successivamente da quest’opera di Carlo Crivelli. In entrambi i dipinti il soggetto è quello dell’Annunciazione, perche la notizia dell’avvenuta concession della “Libertas Ecclesiastica” giunse ad Ascoli appunto il 25 di marzo, ricorrenza della festività dell’Annuncio a Maria. Dunque il tema assume anche un significato allusivo, in quanto esso si può riferire alla buona novella giunta alla cittadinanza ascolana, che non perse tempo a trarne Ie conseguenze di cui s’e detto. La stessa collocazione di quest’opera nella chiesa dell’Annunziata assume un alto significato religioso, ma anche civico, ben sottolineato da quegli stemmi, in vista sulla faccia del gradone in primo piano, I’uno accanto all’altro in solenne concordia: città, vescovo, pontefice romano.
Il dipinto, ricordato dall’Orsini nella cappella dei frati Conventuali nel 1790, venne prelevato dagli emissari del governo napoleonico e trasferito a Brera, dove entrò con il n. 747, assieme a tante preziose opere marchigiane, il 24 settembre 1811, come si rileva dall’inventario ancora esistente. Ecco il testo: “Ascoli, Minori Osservanti dell’Annunciata. L’ Annunciata, molte figure pezzi d’architettura ed ornati, tavola, misure, br. 3,6 per 2,6 autore Carlo Crivelli”.
Il Ricci (1834) mostra di essere ben informato, scrivendo:”fu sotto il 12 Agosto del 1811, che venne trasportata a Milano, allora Capitale del Regno Italico, I’altra tavola (la prima era quella del Beato Giacomo della Marca), che rimaneva nella domestica cappella dei Frati del sunnominato convento. Era in essa rappresentata l’Annunciazione di Nostra Signora alla presenza di molte figure e tra i pezzi d’architettura erasi altresì introdotto il vescovo sant’Emidio … “. Il Ricci doveva esser bene al corrente, appunto, del verbale di consegna, perché usa addirittura la stessa frase, non consueta, di “pezzi d’architettura”; ignorava invece il seguito della vicenda, davvero incredibile, cui il dipinto, ancora dunque su tavola, era poi andato incontro e già in quel 1834, in parte almeno, avvenuta. Nello stesso foglio, infatti, di quell’inventario napoleonico conservato a Brera, a destra, sotto la colonna “osservazioni”, si Iegge:”1820, li 27 Maggio: cambio con il Sig. Livry, vedi n° 920″. In effetti al numero indicato, alla data stessa, si Iegge:”Cambio con il Sig. Augusto Luigi de Livry” il quale dava una Sammaritana attribuita al Caravaggio, ma non delI’artista, per ricevere, oltre alla tavola del Crivelli, altri dipinti dilegentemente annotati. Il Livry era un antiquario, il quale fece un eccellente affare: evidentemente chi ci rimise fu Brera, anche per aver ceduto un’opera giunta colà in modo tanto improprio, senza neppure che a qualcgesse l’idea, sparito Napoleone, di restituire l’opera a chi pochi anni prima era stata sottratta, con, la forza, anzi “ope legis”, sia pure quella del dittatore. Ma una parte di responsabilità spetta ad un altro governo, quello austriaco, tornato a dominare su Milano, il quale affermò alla delegazione marchigiana che era andata colà a chiedere la restituzione delle opere sottratte, che si trattava di preda bellica, ed avendo l’Austria vinto Napoleone, quella era proprietà austriaca. In entrambi i casi, due prepotenze! Passato ben presto in Inghilterra il dipinto, attraverso diverse collezioni, entrò, alla fine, nelle raccolte della National Gallery 1864, quale dono di Lord Tauton.
Nel 1881 si provvide a trasportare il dipinto su tela, evidentemente perché la parte lignea era in condizioni precarie. Il Testi (1915) constatando che l’opera si presentava in eccellenti condizioni e ricordando che era stata invece ceduta da Brera per il cattivo stato, ritenne che Ie Annunciazioni del Crivelli fossero in realtà due, e che questa di Londra non fosse la medesima ceduta al Livry. Ma, come osserva il Davies, il trasporto dalla tavola alla tela sta a ricordare che il dipinto era in realtà in stato precario, anche se questo si riferiva non alla superficie pittorica, bensì al supporto ligneo, che doveva essere fatiscente.
OItre ad avere grande importanza dal punto di vista storico per il significato che sottintende e lo giustifica (in questo senso è davvero un unicum), il dipinto rivela un aspetto quasi inedito del Crivelli, quale opera di racconto, dove spazio, architetture, episodi narrativi Iegati ad eventi diversi, lontani o vicinissimi nel tempo, trovano tutti la loro unità nel rigore prospettico della composizione, che propone un assieme che solo il Carpaccio avrebbe in quegl’anni potuto concepire, ma non in un modo così immaginoso, fiabesco e, insieme, veritiero E siamo ben lontani dal raccontare dei Fiorentini, o degli Umbri, alla Pinturicchio. Il Davies nota che la scena ha un precedente nel disegno di Jacopo Bellini esistente nel British Museum, e cita quale precedente idea di quest’opera, l’Annunciazione dello stesso Crivelli, in due pannelli, oggi a Francoforte, già a Camerino, cimasa del polittico del 1482. Egli rileva assonanze anche con partieolari di altre opere, ad esempio con il S. Sebastiano di Antonello, che certamente può costituire un esempio specie per il porticato dol fondo. Tutto ciò è molto importante, perché, oltre i precedenti padovani ben riconoscibili, evidentemente anche nella solitudine “picena” il Crivelli aveva modo di tenersi aggiornato, intendo di conoscere bene quello che avveniva altrove, proprio nel mondo dal quale proveniva. Conviene qui ricordare che anche Miehele Pacher, circa gli stessi anni, nell’altare di Novacella, presso Bressanone, ambienta una scena in uno spazio urbano a questo molto simile: entrambi derivati dal Mantegna negli affreschi degli Eremitani, episodio del Martirio di S. Cristoforo.
In quest’opera, il Crivelli dà inoltre prova di ben conoscere i valori della profondità prospettica, di cui si serve anche per giungere a significati allusivi, che il dipinto contiene nel duplice valore dell’Annuncio, sottolineato – come ben osserva la Zanobini Leoni (1984) – dalla presenza del protettore della città S. Emidio accanto all’arcangelo Gabriele. “Le direttrici prospettiche della composizione ci trasportano velocemente verso il fondo, ad illustrarci l’attesa del fatidico messaggio: sotto l’arcone, un personaggio focale scruta il cielo per avvistare un colombo in arrivo (che porta il messaggio); altri, laici e religiosi, indugiano sul pianerottolo della scala di sinistra; e un dignitario sulla balconata di fondo, sopra al portale, Iegge la missiva portata dal colombo, chiuso nella gabbia posata sul parapetto”(T. Zanobini Leoni, 1984, p. 93). La studiosa analizza assai bene la « regola matematica e geometrica » che presiede a tutta la composizione, che- come è giustamente osservato – ha un suo precedente nella Annunciazione di Girolamo di Giovanni da Camerino, risalente circa al 1460. C’iò conferma quanto già da tempo sostenuto; e non solo i rapporti tra i due artisti, che quasi certamemte si conobbero a Padova, nel 1450, ma la conoscenza da parte di entrambi di Piero della Francesca, del quale il Camerinese più che allievo dovette essere compagno di strada.
Per il rigore compositivo, la complessa presenza di tanti elementi, ciascuno così vivo singolarmente eppure partecipe di una unità formale e sostanziale, l’Annunciazione di Ascoli ha un posto a sé stante nella attività del Crivelli e ne costituisce un punto di riferimento per comprenderne Ie qualità intrinseche e quel personale suo modo di Iegare fatti reali e visioni fantastiche.